LE PRIMARIE, IL MORTO DI CARNEVALE E LA “SINISTRA” INCARTATA
Nel giorno delle primarie del Pd è Carnevale. Sarà stata una coincidenza non valutata per tempo dagli organizzatori. Fatto sta che a Viareggio hanno preferito anticipare a sabato le votazioni perché la ricorrenza in maschera viene prima in ordine di importanza.
In molte altre piazze italiane il rischio è che i gazebo del Pd si confondano con la farsa tipica delle maschere di Carnevale. Nessuno però può battere in lungimiranza quelli del Pd, che proprio per evitare la confusione in molte città hanno scelto di far votare militanti e simpatizzanti nel chiuso delle sezioni (dove ancora esistono fisicamente) preferendo “il fai da te” casalingo al contatto reale con la gente.
Il prossimo segretario sarebbe il presidente della Regione Lazio Zingaretti, il più gettonato, seguito da Martina e Giachetti, improbabili outsider.
Tutti bravi. Che dire di Zingaretti il quale, fra i tre, quanto meno si è sporcato le mani riuscendo ad affrontare la fase sul campo e collezionare vittorie elettorali importanti in terra laziale, sia pure imbarcando qualche trasformista di troppo.
Il punto è un altro. Il problema del Pd non sono gli uomini nuovi o seminuovi. Sono le politiche che inevitabilmente camminano ancora a braccetto con quei gruppi dirigenti e quelle nomenclature finanziarie europee che hanno affossato il partito e l’idea stessa di sinistra in Italia, trasformandola in una farsa quotidiana e non solo a Carnevale.
Il renzismo ha infatti infettato il partito allontanandolo dalle piazze, sostituendo ad esse luoghi più “cool”come la Leopolda, cercando di convincere tutti che cambiare la Costituzione doveva essere una priorità per cambiare il Paese. Sbagliato! Renzi, il rottamatore che ha impostato la sua ascesa proprio sulla eliminazione dei suoi predecessori, una cosa l’ha cambiata davvero. La pelle della sinistra, prima utilizzandola per ipnotizzare le masse, successivamente incartandola in un debole involucro, infine annientandola. E’ venuta fuori una classe dirigente ibrida, disabituata a parlare al popolo, staccata dai bisogni della gente, ma solo brava a frequentare i palazzi del potere da Roma a Bruxelles. Ma essere popolari non è lo stesso che essere populisti.
Quel Renzi che prometteva di lasciare la politica, dopo il referendum costituzionale perso il 4 dicembre 2016, non è politicamente morto, è ancora lì alla finestra, dopo aver traghettato il Pd verso il suicidio assistito.
E non basteranno le primarie a far recuperare credibilità ad un gruppo dirigente abbarbicato ai vertici di un Pd in declino, i numeri della partecipazione alle primarie non contano, potrebbero come spesso accade non rispecchiare la realtà, troppo facile gonfiarli e indirizzarli come ormai oggi accade quasi dappertutto in politica (vedi piattaforma Rousseau) data la disaffezione alla partecipazione da parte della gente comune.
Per il partito Democratico non basterà un bravo capitano a guidare il timone di una nave alla deriva e in alto mare.
Affidare al Pd il compito di ricostruire un necessario fronte di sinistra popolare in opposizione al salvinismo dilagante è come affidare le pecore al lupo.
La speranza di ripartire non può e non deve pagare dazio al Pd. Sarebbe la fine prima dell’inizio.
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