PORTO DI GIOIA TAURO: LICENZIARE 500 LAVORATORI E’ DA CRIMINALI
Mentre il Governo discute di come accordare maggiori condizioni di autonomia a Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, al Porto di Gioia Tauro, nel profondo Sud della Calabria, si annunciano 500 nuovi licenziamenti.
A farlo è MTC la società del Gruppo Contiship che gestisce in quasi regime di monopolio lo scalo al centro del Mediterraneo specializzato in movimentazione di container.
La recente vertenza giudiziale che ha visto soccombere MTC dinanzi alla richiesta di reintegro nel posto di 377 lavoratori licenziati precedentemente, sembra aver prodotto una reazione “maggiore e contraria”.
MTC, oggi grande assente al tavolo romano convocato dal titolare del Dicastero ai Trasporti, il Ministro Toninelli, sfugge e si defila rispetto ad una questione sociale che rischia di assumere contorni giganteschi.
Con i sindacati seduti al tavolo solo MSC, la compagnia marittima “concorrente” di MTC, ha promesso di garantire una movimentazione di Teus di 4 milioni e mezzo all’anno, dinanzi alla richiesta di pace sociale del Ministro il quale ha pure minacciato la revoca delle attuali concessioni. Parole, fughe in avanti, gaffes o scherzi a parte, non è dato saperlo.
La realtà del porto di Gioia Tauro racconta di uno scalo partito a razzo negli anni novanta ed oggi destinato alla decadenza a causa della mancanza di una politica industriale di lungo e largo respiro e della determinazione dei Governi nazionali che si succedono nel tempo ad attuarla.
Gli investimenti promessi, non quantificabili ormai, le zone franche, la ZES, i distretti della logistica, l’alta velocità, il secondo canale, tutte questioni al centro di una discussione politica pluridecennale trascinatasi fino ad oggi con risultati pari a zero. Persino l’Autorità Portuale non ha più una guida trovandosi ancora sotto commissariamento.
E’ d’obbligo dunque rilanciare il tema del lavoro e dello sviluppo attorno al Porto, polmone dell’economia territoriale, regionale, del Sud Italia.
Lanciamo un appello alla resistenza al fianco dei lavoratori che difendono, oltre che il loro posto, la loro dignità, calpestata ripetutamente, quando davanti ai cancelli del porto quei tornelli non girano più per loro.
Far perdere l’occupazione a 500 persone con relative famiglie a carico, sarebbe devastante per un tessuto produttivo localmente già depresso ed incapace di vedere un intervento pubblico risolutivo ed in controtendenza con le politiche economiche degli ultimi anni.
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inviato da matador
Venerdì, 22 Febbraio 2019 09:43Hai ragione . Serve la nazionalizzione del porto con un intervento pubblico da parte dello stato e delle istituzioni locali