UN BRINDISI AMARO
Di Michele Tripodi. Marco Rizzo è stato abile, ha fatto parlare di sè, attirandosi l’attenzione negativa dei media nazionali e internazionali e facendo condannare in solido tutti i comunisti o presunti tali alla dannazione quasi eterna.Ma vi è un errore di fondo che i media compiono. Rizzo non è un esponente del Partito Comunista Italiano, anzi per l’esattezza risulta oggi in Italia tra i promotori di una lista politica di stampo conservatore che si chiama “Italia Sovrana e popolare” che correrà alle elezioni del 25 settembre.
Il PCI, Partito Comunista Italiano, che correrà pure da solo, ha invece un altro simbolo raffigurato con la bandiera rossa, con la falce e il martello, il simbolo che fu l’ultimo di Enrico Berlinguer. Non è un dettaglio. È un distinguo importante. Indipendentemente dal giudizio storico e politico sulla figura di #Gorbacev, una cosa è sicura: personalmente le bottiglie migliori le stapperò in occasioni diverse e degne di nota.
Se fossimo tutti un po’ obiettivi dovremmo constatare che dalla dissoluzione dell’URSS plaudita da tutto l’Occidente ad oggi il mondo è terribilmente peggiorato.
L’idea di un‘Europa di pace che come auspicava Gorbacev doveva estendersi “dall’Atlantico agli Urali” è naufragata con le due guerre europee di Serbia ed Ucraina, con il monetarismo, con la crisi economica i cui effetti più devastanti non si sono ancora del tutto materializzati. Il disegno di Gorbacev non è andato in porto, quello cioè di far convivere (forse) socialismo e libertà civili. Ed invece la visione in chiave progressista alternativa al liberismo proposta dal marxismo è stata sostituita in Russia dopo la fine dell’URSS da una sorta di affermazione di uno zarismo autoconservatore.
Diciamo che l’evoluzione dell’URSS non si è compiuta secondo la linea della storia auspicata da Gorbacev. Dai governi popolari dei soviet ai consigli di fabbrica dei lavoratori, non si è passati alle istituzioni rappresentative, bensì ha prevalso un salto nel passato di 100 anni almeno, ovvero si è consolidato in Russia il modello della vecchia corte con un ritorno alle condizioni precedenti, sotto il profilo della gestione del potere, la rivoluzione di ottobre. Dal 1991 si è realizzata un’involuzione regressiva sotto gli occhi compiaciuti e complici di un Occidente che non ha fatto nulla per frenare l’ascesa prima di Eltsin, poi l’acuirsi dei separatismi nazionali e infine l’arrivo di Vladimir Putin.
Per tali motivi la morte di Gorbacev è l’occasione non per brindare ma per stimolare e approfondire la seguente riflessione: Putin non è il continuatore dell’URSS e Gorbacev ha fallito, l’Occidente ha fallito perché, sbagliando, ha considerato suo principale nemico il comunismo, col quale aveva invece trovato un’alleanza per battere il nazismo negli anni ‘40 e un successivo punto di equilibrio nell’idea di un mondo multipolare costruita sull’Onu. Idea, questa, ingoiata a fatica dagli americani e sintetizzata dalla “realpolitik” di Kissinger.
La vera minaccia alla #pace mondiale oggi è il ritorno ai venti di guerra nucleare, provvisoriamente sopiti dall’URSS di Gorbacev e oggi rinfocolati dalla NATO contrapposta al conservatorismo ultranazionalista dei vari “ras” regionali con cui troppo spesso l’imperialismo baratta vite umane e diritti per il potere. (Si veda il caso della Finlandia che ha barattato con Erdogan l’ingresso della NATO in cambio dell’estradizione dei curdi).
Con tutti i limiti del caso la Carta delle Nazioni Unite aveva assicurato all’indomani della seconda guerra mondiale, pace e stabilità in Europa e nel Mondo. Oggi gli stati sono in guerra permanente ma sanno bene che l’URSS non era poi il male assoluto, i comunisti non erano, non sono i nemici giurati dell’Occidente per antonomasia. La morte di Gorbacev che Vladimir Putin molto più intelligentemente di Rizzo tenta di ridimensionare potrebbe essere deflagrante, se solo se ne parlasse, se solo si aprisse il dibattito in Europa e in Occidente sul prima e dopo la caduta del muro di Berlino, su Glasnost e la Perestrojka, sull’allargamento della NATO ad est dopo la fine del Patto di Varsavia, sulla guerra (di logoramento diplomatico) in Ucraina, sui bombardamenti al millimetro a pochi metri dalle centrali nucleari, sul blocco del gas russo verso l’Europa e sull’uccisione della figlia del filosofo Alexander Dugin avvenuta qualche settimana fa in Russia.
Allora? Vogliamo continuare a parlarne?
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